Buttafuoco (tamburo di corde)
Il buttafuoco è uno dei principali strumenti a corde cinque-seicenteschi tipici dell’area napoletana, che ha avuto un suo sviluppo storico in Europa Occidentale, dal Medioevo al Barocco. E’ ancora in uso nella musica tradizionale di un’area geografica ristretta dei Pirenei, divisa dal confine tra Spagna e Francia, dove è identificabile, principalmente, col nome di tambor de cuerdas/tambourin à cordes.
Di probabili origine spagnole, e in uso in Italia dal Rinascimento fino a metà ‘600, il buttafuoco è identificabile con un particolare salterio a percussione che, come strumento a bordone, viene suonato, dallo stesso suonatore, insieme ad uno zufolo (un piccolo flauto con solo 3 fori). Infatti, sorretto con un braccio, di solito il sinistro, e appoggiato al corpo, il buttafuoco si percuote tramite una bacchetta (all’epoca detta mazza) tenuta dalla mano destra, mentre la mano sinistra suona lo zufolo. Un solo suonatore riesce a suonare la melodia, il ritmo e il sostegno armonico, così che è possibile eseguirvi le danze all’epoca gradite ai ballerini. Il suono del buttafuoco è caratterizzato dalla forte presenza degli armonici, esaltati grazie alla presenza degli arpioni (tangenti di legno o metallo) su cui urtano le corde, una volta percosse, durante la loro oscillazione.
A livello tecnico, in realtà, il buttafuoco non è difficile a suonarsi, perché si tratta di uno strumento a percussione, e la bacchetta che lo percuote esegue dei ritmi colpendo tutte le corde allo stesso tempo (quindi senza inclinazione, ma usata con un colpo piatto). Assai più difficile è gestire lo zufolo a 3 fori, per via della tecnica dei suoni armonici; la zufolo ha una scala abbastanza estesa (circa due ottave), adatta a melodie di tipo modale (ovvero sui bordoni dello strumento).
Il buttafuoco rinascimentale era uno strumento legato al mondo popolare ma, vista la sua efficacia e apprezzamento, venne utilizzato anche in ambito nobile (e suonato da questi, come nel caso di Baldano; inoltre, è raffigurato sui bassorilievi di alcune lastre tombali di famiglie nobili, a Napoli). La relazione del buttafuoco col la tradizione musicale dei Pirenei e, comunque, con la tradizione spagnola in generale, è un dato importante per precisare origine e area di espansione; ma, per quanto riguarda l’Italia, è interessante notare la corrispondenza dell’area geografica di maggiore diffusione dello strumento con il Sud che, in questo periodo storico, fu sotto il dominio degli spagnoli (pur non mancando testimonianze anche per altre zone d’Italia) insediati nel Viceregno di Napoli.
Il Buttafuoco
ovvero il tamburo di corde in Italia
Un saggio
di
Goffredo Degli Esposti
Il tema di questo saggio è quello ampliare le informazioni, e i punti di vista, sul buttafuoco: un grande salterio a percussione, di forma quasi rettangolare, che si suona insieme a un flautino a 3 fori.
Il buttafuoco è uno dei principali strumenti a corde cinque-seicenteschi tipici dell’area napoletana, che ha avuto un suo sviluppo storico in Europa Occidentale, dal Medioevo al Barocco, e che è ancora in uso nella musica tradizionale di un’area geografica ristretta dei Pirenei, divisa dal confine tra Spagna e Francia, dove è identificabile, principalmente, col nome di tamburo di corde.
Come musicista-ricercatore-sperimentatore, mi trovo qui a proporre il buttafuoco in una sua forma finale/sperimentale, dovuta inizialmente al suo riutilizzo del repertorio “colto” di danze italiane della seconda parte del ‘500 e del primo ‘600, oggi da me utilizzato anche per la nuova musica e la canzone d’autore.
Questo saggio toccherà diversi argomenti, mettendo in confronto il buttafuoco storico con il tamburo di corde tradizionale ed è completato con immagini e citazioni letterarie per fornire più documenti possibili alla conoscenza di questo strumento.
Sebbene la mia documentazione iconografica sia ben più estesa, pubblico qui soltanto alcune delle immagini da me trovate, ritenendo queste più che sufficienti per illustrare la storia e l’importanza del buttafuoco.
SOMMARIO
IL BUTTAFUOCO
STORIA
IL MEDIOEVO
IL RINASCIMENTO
IL BUTTAFUOCO A NAPOLI NEL CINQUECENTO
TESTIMONIANZE LETTERARIE
IL BUTTAFUOCO A NAPOLI E FUORI NEL PRIMO BAROCCO
IL BAROCCO
LA TRADIZIONE
ORIGINE E CURIOSITA’ SULLA DIFFUSIONE DEL NOME BUTTAFUOCO
LA RISCOSTRUZIONE DI OGGI
RINGRAZIAMENTI
Questa ricostruzione del buttafuoco non sarebbe stata possibile senza la preziosa collaborazione di Vincenzo Cipriani, il liutaio che l’ha ricostruito, e il fondamentale studio di John Henry van der Meer e Maurizio Tarrini (1); inoltre, devo citare gli articoli di Marcel Gastellu Etchegorry (2), di Jordi Ballester (3), di Maria Paola Borsetta (4) e la collaborazione artistica con Mauro Squillante nel gruppo Lirum Li Tronc (5). Infine, per gli ascolti di musica tradizionale e le note etnomusicologiche, si ricorda il CD pubblicato in Spagna da SAGA (6).
(1) John Henry van der Meer e Maurizio Tarrini, “Alcune considerazioni intorno al buttafuoco” e Appendice, in: “Libro per scriver l’intavolatura per sonare sopra le sordelline” (Editrice Liguria, 1995).
(2) Marcel Gastellu Etchegorry: “Essai sur les origines du tambourin a cordes”, 2011.
(3) Jordi Ballester: “The stringed drum and the 16th century music: new iconographical sources” (Anuario Musical n.º 66, 2011).
(4) Maria Paola Borsetta: La cappella musicale della cattedrale di Cosenza – canto liturgico, libri, strumenti musicali e musicisti tra Cinque e Seicento. (in: Tra Scilla e Cariddi – Edizioni del Conservatorio di Musica “F. Cilea” – Reggio Calabria, 2003).
(5) LIRUM LI TRONC: “Sordellina, colascione, buttafuoco in Renaissance Naples” (CD, Stradivarius, 2009 – ascoltabile su Spotify).
(6) “El tambor de cuerdas de los Pireneos” (Saga – 1999).
IL BUTTAFUOCO
Singolare strumento “spagnolo-napoletano” in auge, soprattutto, in epoca rinascimentale, il buttafuoco è identificabile con un particolare salterio a percussione che, come strumento a bordone, è ancora in uso nella tradizione musicale dei Pirenei (dove è chiamato tamburo di corde); la sua caratteristica è di essere suonato, dallo stesso suonatore, insieme ad uno zufolo (un piccolo flauto con solo 3 fori). Infatti, sorretto con un braccio, di solito il sinistro, e appoggiato al corpo, il buttafuoco si percuote tramite una bacchetta (all’epoca detta mazza) tenuta dalla mano destra, mentre la mano sinistra suona uno zufolo. Così, un solo suonatore riesce a suonare la melodia, il ritmo e il sostegno armonico, ed è possibile eseguirvi le danze all’epoca gradite ai ballerini. Il suono del buttafuoco è caratterizzato dalla particolare presenza degli armonici, esaltati grazie all’inserimento degli arpioni (tangenti di legno o metallo) su cui urtano le corde, una volta percosse, durante la loro oscillazione.
A livello tecnico, in realtà, il buttafuoco non è difficile a suonarsi, perché si tratta di uno strumento a percussione, e la bacchetta che lo percuote esegue dei ritmi colpendo tutte le corde allo stesso tempo (quindi senza inclinazione, ma usata con un colpo piatto). Assai più difficile è gestire lo zufolo a 3 fori, per via della tecnica dei suoni armonici; la zufolo ha una scala abbastanza estesa (circa due ottave), adatta a melodie di tipo modale (ovvero sui bordoni dello strumento).
Il buttafuoco rinascimentale era uno strumento legato al mondo popolare ma, vista la sua efficacia e apprezzamento, venne utilizzato anche in ambito nobile (e suonato da questi, come nel caso di Baldano; inoltre, è raffigurato a Napoli sui bassorilievi di alcune lastre tombali di famiglie nobili).
La relazione del buttafuoco col la tradizione musicale dei Pirenei e, comunque, con la tradizione spagnola in generale, è un dato importante per precisare origine e area di espansione; ma, per quanto riguarda l’Italia, è interessante notare la corrispondenza dell’area geografica di maggiore diffusione dello strumento con il Sud che, in questo periodo storico, è sotto il dominio degli spagnoli (pur non mancando testimonianze anche per altre zone d’Italia) dove avevano il Viceregno di Napoli.
STORIA
Il buttafuoco/tamburo di corde si sviluppa su tre epoche, ognuna con le sue caratteristiche:
il Medioevo
Lo strumento è sostanzialmente un lungo salterio con poche corde (2 o 3), che viene appoggiato al corpo e viene percosso con una o due bacchette. E’ raffigurato prevalentemente in scene religiose.
il Rinascimento
Lo strumento ha più corde (da 5 a 9), suonate come bordoni, oppure raggruppate in cori, è percosso con una sola bacchetta mentre l’altra mano suona un piccolo flauto. E’ raffigurato prevalentemente in scene religiose, suonato da angeli, ma abbiamo anche immagini, poche, di scene profane.
Il Barocco
Le corde sono raggruppate in cori; può suonare sia a bordone sia i bassi singoli. Prende una forma lunga, un poco trapezoidale, con fianchi a forma d’ onda. Cambia nelle raffigurazione di scene religiose (scompaiono gli angeli che lo suonano e rimane solo in quelle all’aperto) mentre prevalgono immagini di scene campestri con danze pastorali.
MEDIOEVO
Per il Medioevo dobbiamo far riferimento al lavoro della musicologa Rosario Álvarez che ha identificato questo tipo di tamburo a due corde (del 15 ° sec.), e che si chiama dicordio percutido (in latino significa 2 corde percosse) o chorus (sempre in latino, ovvero coro, che è il nome dato alla coppia di corde, accordate uguali, tipica di alcuni cordofoni).
Giraldus Cambrensis (1146 ca. – 1223 ca.), chierico gallese del XII sec., ci dice che il chorus era suonato dagli Scozzesi (oltre la chitara e il tympanon) e dai Gallesi (oltre a alla chitara e tibiae), e sembra che usassero anche corde di metallo (ottone).
Aimeric de Peyrac (1330? – 1407), abate benedettino a Moissac, dice che il chorus ha corde doppie accordate insieme e stridenti (Quidam Chorus consonantes, Duplicem chordam perstridentes)
Jean Charlier de Gerson (1363-1429), Cancelliere (Rettore) dell’Università, lo descrive come una grande trave oblunga e vuota, con due o tre corde grossolani, con un suono aspro.
Eustache Deschamps (1340 ca. – 1406 ca.), in una sua ballata, scritta per la morte del grande Guillaume de Machaut, dice:
« … Rothes, guiternes, flaûtres, chalémie,
Traversaines, Et vous, Nymphes de boys,
Tympanne aussi, mettés en oeuvre dois
Et le choro. n’y ait nul qui réplique
Faites devoirs, plourés, gentils Galois
La mort Machau, le noble rhétorique…».
Jean Lefèvre (1320-1380), procuratore al Parlamento di Parigi, nella poesia La Vieille, che è la traduzione dal latino al francese antico di un lungo poema, lo scrive anche nella forma e nel modo di essere suonato:
« Cymbale en poussant font grant noise
Et le choron d’une grant boise
Quant on le bat dessus la corde
Avecques les autres s’accorde ».
RINASCIMENTO
A partire da questa epoca, possiamo incominciare a considerare il buttafuoco/tamburo di corde come strumento completo, ovvero doppio, da quando appare suonato insieme a un flautino/zufolo (piccolo flauto a 3 fori) dallo stesso musico.
Qui di seguito, l’immagine più antica che si conosca, posta su una cornice (fregio) esterna ad un palazzo di Sulmona (in Abruzzo), e contrapposta ad un suonatore di cornamusa. Vi si distingue chiaramente un musico in abito del 400.
Il fregio contiene tanti altri musicisti, alcuni in abiti e altri nudi, come figure allegoriche. Vi sono una coppia di trombette, altri due con il triangolo e il tamburo, poi una viola, un liuto, ecc..
Nella prima ipotesi di datazione (1415), sarebbe un musicista Angioino (francese), cosa che non mi sento di ipotizzare. Nella seconda ipotesi di datazione (1481), per me più verosimile, potrebbe benissimo essere un musicista Aragonese, visto che Alfonso V, re di Aragona, detto il Magnanimo, si insediò a Napoli nel 1443 (n. b. :per lo studio di questo documento rimando ad altro articolo futuro).
Invece, riguardo il seguente strumento, che si può vedere nella“Assunzione di Maria Vergine” di Filippino Lippi (dell’anno 1488-1492), vi è un angelo che suona il flauto accompagnandosi con un salterio (dalla strana forma più vicina alle casse armoniche delle viole) a tre corde percosse da una bacchetta (forse eredità del chorus).
Visto che la sua forma è diversa da quella tradizionale, potrebbe essere questo l’Altobasso?
https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b84291794.r=tambourin%20a%20cordes?rk=300430;4
fotografia dell’affresco nella Cappella del Cardinale Caraffa
(cliccare sul link)
In Italia, in epoca rinascimentale, il buttafuoco è precisamente identificabile con il salterio a bacchetta (con 4-6 corde) che viene suonato a bordone (come nella tradizione musicale dei Pirenei, dove è chiamato tamburo di corde); la sua caratteristica è di essere suonato, dallo stesso suonatore, insieme ad uno zufolo (un piccolo flauto con solo 3 fori). Sorretto con un braccio, di solito il sinistro, e appoggiato al corpo, il buttafuoco si percuote tramite una bacchetta (all’epoca detta mazza) tenuta dalla mano destra, mentre la mano sinistra suona il flautino (altrimenti detto siscariello). Così, un solo suonatore riesce a suonare la melodia, il ritmo e il sostegno armonico, ed è possibile eseguirvi le danze all’epoca gradite ai ballerini.
Tra le prime raffigurazioni del buttafuoco/tamburo di corde, con quattro corde, vi è quella nel Duomo di Matera (1534), dove questo strumento è suonato in coppia con un tamburello.
Purtroppo, il buttafuoco è scomparso dalla musica popolare italiana (si perdono le sue tracce dalla metà del XVII sec.). Però lo si può considerare diffuso nel Rinascimento, soprattutto tra il 1500 e il 1630. A documentare questo, ci restano diverse rappresentazione pittoriche, disegni, miniature, e sculture nelle nostre chiese, oltre alle citazioni letterarie e i documenti di archivio.
Il buttafuoco rinascimentale era, insieme al colascione, la chitarra, e il violino in seguito, uno strumento appartenente a musici professionisti che transitavano tra l’ambiente nobile e religioso, come quello popolare ma, vista la sua efficacia e apprezzamento, venne suonato anche dai nobili (infatti è raffigurato sui bassorilievi di alcune lastre tombali di famiglie nobili, a Napoli), e diffuso in varie parti d’Italia e d’Europa.
In queste 3 seguenti immagini, il buttafuoco si trova accanto ad un suonatore di zufolo e tamburo, come a dover ricordare la stretta parentela e similitudine musicale: lo zufolo è lo stesso, mentre si può avere o un tamburo di pelle o un tamburo di corde. Al contrario, lo zufolo e tamburo era uno strumento di professionisti (si usava per insegnare le danze e nelle feste da ballo), oltre che essere uno strumento di uso militare (nella musica per marciare). Notare la lunghezza del flauto (si sa che il flauto aveva almeno 2 taglie più usate, soprano e tenore, e una terza taglia di basso).
https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b8419024j.r=tambourin%20a%20cordes?rk=193134;0
riproduzione del buttafuoco nel Trionfo di Cerere (incisione di Antonio Tempesta, 1592)
(cliccare sul link)
A seguire, ancora due raffigurazioni in cui il buttafuoco è suonato senza lo zufolo.
Da notare, nell’immagine qui sopra, sotto il piede della figura di donna che lo suona, la tipica custodia rinascimentale per i flauti di varie dimensioni.
TESTIMONIANZE LETTERARIE
Riguardo la formazione e la trasmissione professionale della tecnica strumentale, abbiamo:
– 1534, (a Cosenza, Calabria) tra un maestro napoletano, Iacovo Ispolo, e il giovane Filippo Sisca di Figline, si stabiliva che… per un triennio Filippo sarebbe stato al servizio del maestro e “che ipso magistero Jacovo li habia inparare la arte de sonare tanto frauto come del cimbalo et altri instrumenti…in lo fine de dicti tre annj ipso magistro Jacovo donarà al dicto Filippo uno Canto et uno buctafoco ad cinque corde”.
– 1537, si rinnova l’accordo “…et ipso magistro Iacovo promicte cum juramento inparare lo predicto Filippo tanto di sonare lo buctafoco tamburo et frauto tanto di Can(t)o como di tenore como anco di ballare et donarli tutti basscie balli et a danze”.
Questo vuol dire, ben specificato, che il flauto suonato col buttafuoco poteva avere due ruoli, di soprano che di tenore, nell’eseguire sia i balli che le bassedanze. E che l’educazione musicale prevedeva l’insegnamento di più strumenti. Siamo a Cosenza, non troppo lontano da Matera (170 km, ca.), proprio negli anni in cui viene scolpito il presepe del Duomo in cui vi è posto un suonatore di buttafuoco.
Un altra testimonianza (a Cassano, 38 km da Cosenza, sulla direzione di Matera):
– 1565 Sinodo di Giambattista Serbellone eletto dalla S. Sede per la Diocesi di Cassano:
“Che non si soni Strumenti musicali et pagani nelle Chiese. E’ cosa inconveniente e detestata dal detto Santo Concilio……d’usare certi strumenti profani, come Ceramelle, Buttafochi, Tamborini e simili…”.
Qui abbiamo la proibizione degli strumenti “profani” in chiesa, dopo il Concilio di Trento (1545-63); così, incomincia a diminuire la sua raffigurazione in soggetti religiosi.
– 1574, Cesare Negri, Le Gratie d’Amore. Nella Mascherata dell’Autore in onore di Don Giovanni d’Austria, svoltasi a Milano, si cita: “ Seguiva un Pastore con un buttafoco…”.
– 1587, nel Guardaroba Mediceo di Firenze si cita: “Un butta fuoco co sua bacchetta…”.
– 1592, nell’inventorio (elenco) del Marchese Ferdinando d’Alarçon, discendente di un’aristocratica famiglia Spagnola, sono incluse: “Due veste di Bottafoco” (due custodie di stoffa).
La relazione del buttafuoco con la tradizione musicale dei Pirenei e, comunque, con la tradizione spagnola in generale, è un dato importante per precisare origine, area di espansione e di conservazione; ma attualmente non si è in grado di dire con certezza dove questo venne inventato.
Questa sopra è una delle più antiche immagini spagnole che lo mostra in uso in ambiente nobile, suonato in coppia con una viola da braccio.
Per quanto riguarda l’Italia, è interessante notare la corrispondenza dell’area geografica di maggiore diffusione, di questo strumento, con il Sud che era sotto il dominio degli spagnoli (pur non mancando testimonianze anche per altre zone d’Italia).
https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b84282602.r=tambourin%20a%20cordes?rk=128756;0
riproduzione della tavola di Saint Vincent entouré d’anges musiciens / Ecole catalane du XVe siècle
(cliccare sul link)
In effetti, a Napoli, dalla metà del XV sec., si sono insediati gli spagnoli (aragonesi prima, castigliani in seguito), per cui vi è un gran fermento dovuto all’incontro tra la cultura spagnola e quella autoctona, con un forte impulso allo sviluppo sia degli strumenti che delle forme musicali. Tra gli strumenti, ve ne sono alcuni, come il buttafuoco, che ebbero un periodo di grazia ma che poi cadranno in disuso.
Nel Viceregno spagnolo di Napoli, le musiche in voga sono soprattutto brani polifonici, in genere a 3 parti, come le villanelle e le moresche: le prime, strofiche, con una scrittura prevalentemente omoritmica; le seconde, più complesse, impiegano passaggi in contrappunto e continui cambi di tempo. Nei testi, le moresche utilizzano un linguaggio popolaresco, metaforico e onomatopeico, con continui riferimenti ad ambienti contadini, ad animali, in uno svolgersi di storie spesso comiche e grottesche; le villanelle presentano, a volte, testi più aulici, con riferimenti a situazioni d’amore e di corteggiamento, pur non mancando quelle di carattere popolare.
Non poche di queste musiche risultano adattabili per il buttafuoco.
Per la documentazione di balli, invece, il Libro di Giovanni Lorenzo Baldano (anno 1600-1603), ne documenta 36! Un repertorio ampio, quindi, di importanza unica (1): infatti, vi sono inclusi tutti i principali balli del ’500 (il Ruggiero, il Ballo del Gran Duca, la Bergamasca, la Girometta, Ciaccona). Giovanni Lorenzo Baldano, nobile di Savona (1576-1660), e prezioso testimone dell’influenza dell’ambiente musicale di Napoli, città che era in stretto contatto commerciale con Savona e in cui aveva molto probabilmente soggiornato, è un personaggio chiave, perchè ci lascia un manoscritto, fino a pochi anni fa sconosciuto (una prima parte contiene circa 160 brani per sordellina, una zampogna di corte). Baldano scrive questo libro in forma criptica, dedicandolo alla sua amata, la nobile Clara Maria Cerrato. Alla fine del libro (in realtà, rovesciandolo, è all’inizio opposto), ci sono i 36 brani per buttafuoco.
Da notare come gran parte di queste musiche, intavolate da Baldano, corrispondano a quelle elencate da Basile nella sua opera di inizio Seicento (vedi seguente capitolo).
Elenco brani del Libro di G. L. Baldano:
1 – Ruggiero
2 – La Bassa delle villanelle
3 – Girometta
4 – Sarabanda
5 – La Follia
6 – Le Reginelle
7 – Gagliarda
8 – Canario
9 – Ruggiero in Saltarello
10 – Corrente La Vidovella
11- Corrente Morinero
12 – Corrente Zaninetta pigliate fondin
13 – La Musa
14 – Le Cerasele
15 – La Bergamasca
16 – Corrente Te l’accaterò, te l’accatterò
17 – La Musa In altro modo
18 – Iva alla vigna
19 – Tordione
20 – Spagnoletta
21 – Villano
22 – Bassa imperiale
23 – Pavaniglia
24 – Bassa delle Ninffe
25 – Sfessania
26 – Madama la domanda
27 – Spalata
28 – Tenore
29 – La Bassa delle villanele con sua perfettione
30 – Mastro Ruggiero
31 – Ruggiero
32 – Le Cerasele
33 – Norcina
34 – La Cerrata
35 – Bella Claretta balli vorente
36 – Lucia mozzata
Purtroppo l’Intavolatura Di Butta foco non è decifrabile, perché Baldano utilizza un tipo di scrittura senza fornire alcuna chiave di lettura (al contrario, per l’intavolatura di sordellina fornisce una legenda). Nel confronto stilistico con i brani per sordellina si nota una semplificazione della scrittura e un’assenza di successive variazioni.
Comunque, ultimamente, sono riuscito a fare un’ipotesi di interpretazione dell’intavolatura, su cui sto lavorando.
IL BUTTAFUOCO A NAPOLI, E FUORI, NEL PRIMO BAROCCO (dal 1600 al 1666)
Alcune testimonianze letterarie:
– 1600 ca., Aurelio Virgiliano, Il Dolcimelo. Tra gli strumenti del capitolo “bidone delle immondizie” (da far scomparire o che stavano già scomparendo) si cita: “ Il Buttafoco:..”.
– 1612, Giulio Cesare Cortese, La Vaiasseide. Nel poemetto si trova:
“Po’, pe se ‘ntrattenere fi’ a lo bruoco (imbrunire)
Chiamammo ad uno co lo vottafuoco.”.
– 1621, nel Guardaroba Mediceo di Firenze si cita: “Un butta fuoco vecchio con la sua mazza…” e “Un butta fuoco di legno con la sua mazza…”.
– 1622, nel Guardaroba Mediceo di Firenze si cita: “Un Butta-fuoco vecchio, con la sua mazza…”.
– 1627, Roma, nell’Archivio di Stato, nell’inventario del Cardinale Del Monte si trova: “…Un Buttafoco.”.
– 1628, Bartolomeo Zito, La Vaiasseide. Nel poemetto si trova: “…e co lo vottafuoco, lo siscariello, e l’arpa se metteno a ballare.”.
– XVII sec., Museo Settala: pag. 391….Trombe marine. Dolce melo. Buctafoco. (e prima: Sordelline diverse di armonia singolare…)
– 1632, Giulio Cesare Cortese, Li Travagliuse Ammure de Ciullo e Perna : “…addò le stelle a lo vottafuoco de le Sfere fanno Tordeglione…” (pag. 340)
Tra le testimonianze più interessanti, e colorite, per l’attività musicale a Napoli durante questo periodo, c’è quanto narrato ne “Lo Cunto de li cunti” di Giambattista Basile (Napoli 1575 ca.- 1632). Questo libro di favole, impostato come il “Decameron” di Boccaccio, apre e chiude ognuna delle 5 giornate con descrizioni di momenti conviviali con musica e balli; non manca mai lo Vuttafuoco unito al colascione e ad altri strumenti a percussione (il Vuttafuoco è chiamato così, invece di Buttafuoco, perchè qui abbiamo un betacìsmo: fenomeno e processo fonetico per cui la b può trasformarsi in v o viceversa; nei cognomi per es. Vattiato per Battiato, Basile per Vasile, etc.)
– 1634, Giambattista Basile, Lo Cunto de li Cunti. In questa opera si trova: “lo re fece venire li vottafuoche e,…, fece na festa granne…”. Ancora “…fecero venire li vottafuoche,…co gusto granne ad abballare,…”. Infine “de serveture,…vennero leste co colascione, tammorrielle, cetole, arpe,…vottafuoche…, fatto na bella sofronia e sonato…”.
– 1635, Giambattista Basile, Egloche. In Talia:
“…songo li vottafuoche e rebecchine.”
In Calliope:
“Valea cchiù lo conserto
de lo tiempo passato…
…lo vottafuoco co lo siscariello,…”
“…le da lo siscariello…
…nce vò li vottafuoche;”.
– 1664, Paolo Maria Terzago, Museum Septalianum (Modena), elenco. “Instrumentum calabrensibus familiare…Buttafuoco dicunt…”.
– 1666 Pietro Francesco Scartabelli, Museo o Galeria, elenco. “…Un buttafuoco noto all’Africani, & usatissimo trà Calabresi….”.
Ecco, mi sembra importante fare attenzione a queste ultime due testimonianze: ci delimitano un’area (Sud, Calabria) e ci specificano il nome del buttafuoco.
BAROCCO
In questo periodo, il XVIII sec., diventa strumento di moda alla Corte di Francia. Ora le sue raffigurazioni aumentano, come caratteristico strumento rurale per le danze all’aperto (stessa storia per le cornamuse e le ghironde). Questo perché in Francia, sia i nobili che la ricca borghesia, per evadere da un’esistenza monotona e densa di costrizioni, si appassionarono alla vita campestre e alle “feste galanti”, alle atmosfere bucoliche.
Ecco allora il fiorire di concerti campestri e danze, con raffigurazioni di solisti o di piccole formazioni strumentali.
Da notare, in basso a sinistra, appoggiati a terra, una cornamusa (la musette de cour) e un tamburello.
E’ una importante raffigurazione testimoniante che, probabilmente, il musico (di professione, deducibile anche dalla livrea) praticava entrambi gli strumenti: il tambourin à cordes e la musette de cour.
Anche le scene sacre-bibliche lo ambientano sempre all’aperto, tra danze o movimenti vorticosi di personaggi, a richiamare in ogni caso il ruolo sociale e musicale del buttafuoco/tamburo di corde.
https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b8427995c.r=tambourin%20a%20cordes?rk=107296;4#
tambourin à cordes – Le triomphe de David – artista sconosciuto
(cliccare sul link)
Veniamo ora ad un importantissimo documento, perché è una fonte musicale diretta (segnalatomi da Serge Claderes) che ci testimonia precisamente la musica che poteva suonare in pieno periodo Barocco:
SIX SONATES, en DUO, pour le TAMBOURIN avec un Violon seul, composée par Mr. Lavalliere
Documento preziosissimo di questa epoca sono le 6 SONATES di Mr. Lavalliere (pubblicate a Paris, da LE CLERC, nel 1749) e oggi conservate nella Biblioteca Nazionale di Francia.
E’ veramente interessante sia per la musica, che Lavalliere ha composto (sapientemente sullo strumento, che chiama, nel titolo, semplicemente tambourin), che per tutto quello che dice nella prefazione.
Veniamo ai punti salienti ricavabili dalle 6 SONATES di Mr. Lavalliere:
– invita musicisti e amatori al genere di musica campestre;
– conferma, spiega ed espande la tecnica del flauto a 3 fori, che chiama Flutet, con scala di terza minore, nella sua estensione di un’ottava e mezza;
– indica come si suonano i semitoni e i trilli (cadenze);
– indica l’accordatura e gli accordi sul tamburino a corde (con sistema a 6 e a 13 corde);
– dà indicazioni sui ritmi da battere, nei vari tempi (3 tempi, 2 tempi, 6/8);
-compone 6 sonate in duo col violino, suddivise in 3 o 4 movimenti (con modulazione dal maggiore al minore, nello stile dell’epoca), usando le indicazioni dei tempi di: Allegro, Presto, Minuetto, Giga, Rondeau, Tambourino, Ciacconna, Muzetta.
Per questo documento seguirà un saggio a parte, con precisa descrizione dei suoi contenuti e ipotesi di interpretazione.
Il tambourin à cordes non manca nell’ Encyclopédie di Diderot & d’Alembert, classificato, non tra gli strumenti a corde, ma tra gli strumenti a percussione (figura col n. 23).
Proprio accanto (fig. col n. 26) troviamo il tambourin de Provence, e il suo flutet (lettera m).
Da notare che il piccolo flauto è chiamato flutet, così come lo chiama Mr. Lavalliere (oggi, in Provenza, ha un altro nome: è chiamato galoubet).
Interessante che, nell’ Encyclopédie, il tambourin de Provence sia precisato, già all’epoca, con la provenienza da una zona geografica, la Provence, regione del Sud della Francia dove tutt’ora è in uso nella tradizione.
LA TRADIZIONE
Qui di seguito traccerò solo alcune linee principali dello strumento, perché dal versante spagnolo è stato certamente ben più studiato.
Questo singolare strumento a corde percosse, si distingue subito per il suo suono ronzante, dovuto a delle tangenti di metallo che sfiorano le corde di budello quando queste sono messe in vibrazione (colpendole con la bacchetta).
Nella musica di tradizione orale il buttafuoco/tamburo di corde, suonato sempre insieme con un flautino, viene identificato con diversi nomi e assume una funzione sociale specifica, legata alle tradizioni di ristrette comunità regionali, in particolar modo isolate e conservative, dislocate sulle fascia montuosa dei Pirenei, tra la Francia (il Bearn e la Guascogna) e la Spagna (i Paesi Baschi e l’Aragona).
Nell’Aragona il nome più diffuso è salterio (nel XV-XVIII sec., ma lo era ancora all’epoca delle registrazioni di Alan Lomax, del 1952, mentre il flauto si chiama chiflo) ed anche tamborin, tambor de cuerdas o chicotén.
Mentre in Francia, oltre che con il nome di tambourin, era conosciuto anche con il nome di tympanon.
Nella metà del XVII sec. Froidur, Forestale di Luigi XIV, descrisse una festa nei Pirenei francesi (a Lahontan):
“Ho dimenticato di dirvi che ci siamo divertiti come meglio potevamo e che, ad ogni pasto, avevamo ballerini, violini, flauti e tamburini (“tambourines “). Dico tamburini … questi sono specie di violini con sette corde spesse, che si suonano con una bacchetta come il tamburo.“ (Pubblicato nel 1990 sulla Revista de Folklore de la Fondazione Joaquin Diaz, n. 109.)
In queste zone, non solo ha conservato repertori e funzioni, ma oggi gode di una riscoperta, anche grazie all’intervento dei costruttori e di abili suonatori che lo insegnano, e lo hanno introdotto in gruppi musicali più variegati e in nuovi repertori.
Un altro testimone, La Borde, nel tardo XVIII sec., dice che è molto popolare nel Bearn e in Guascogna.
In Francia è conosciuto come tambourin de Béarn, tambourin de Gascogne, tambourin à cordes.
Nei Paesi Baschi è conosciuto con diversi nomi locali: bertz, soinu, tuntun, toutouna. In questa zona il flauto è chiamato txistu (lungo 43 cm., ovvero in SOL), mentre quello che si chiama silbote o txistu aundi (lungo 63,5 cm.) è una quinta sotto. Ve ne è uno ancora più corto, che si chiama txirula (lungo 31-32 cm.), e troviamo altri nomi come flahuta, gaita, o pito.
Negli scritti di P. Donostia (José Antonio de Donostia) si vede che il ttun-ttun è stato utilizzato in molte parti dei Paesi Baschi. Ai suoi tempi (1922-52), a Zuberosa è ancora in uso. Nel XIX secolo a Getari (Lapurdi).
A Tudela, negli anni 1532, 1565 e 1580. Durante la festa di San Fermin a Pamplona, nel 1610, il musicista che lo suona è di Pamplona, di Baztan nel 1641, e, nel 1643, uno di Arizkun e l’altro di Pamplona; nel 1697 Pedro Echevarria con sei compagni suonano il salterio e il rabel (in Cancionero vasco. “Obras completas del P. Donostia” di Jorge de Riezu, 1994).
Molto interessante questa descrizione fatta dal filologo tedesco Wilhelm von Humboldt dopo i suoi viaggi nei Paesi Baschi, negli anni 1799 e 1801, nel suo l’articolo dal titolo “Sulla musica nei Paesi Baschi”, in cui troviamo informazioni molto precise sul ttun-ttun e su alcune particolarità tecniche:
“Ad accompagnare il silbo (flauto) quando viene suonato in luoghi aperti (…) il tamburo che serve a segnare il movimento / Ma se suonato in luoghi chiusi, allora a sostituire il tamburo c’è una specie di arpa quadrilonga con sei corde (il tamburo dei francesi) chiamato chunchun. Le 6 corde sono accordate in quinte (…) il ponte è spostabile in su o in giù, allo stesso tempo (…) per l’intonazione in cui si suona. Lo stesso silvo (flauto) si suona con la mano sinistra, e colpisce con una bacchetta, che tiene con la destra, le corde del chunchun, che fanno come un basso continuo al canto, abbastanza sommesso da non sopraffarlo (il canto).”
Qui sopra von Humboldt ci segnala sia la differenza di uso del ttun-ttun (ovvero è preferito al chiuso), che l’ingegnosa tecnica di cambio tonale-modale, spostando il ponticello sia più avanti che indietro (quindi il flauto rimane lo stesso ma cambia il centro tonale del brano suonato).
Nel 1834, George Sand descrive l’ascolto di questo strumento in Lavinia (pag. 54), in un viaggio sui Pirenei, dove ci testimonia l’uso del tamburo di corde in coppia con il violino:
“…al borgo di Saint Sauveur (vicino Cauterets)…i suoni fatti da un violino, un flageolet (piccolo flauto) e un tympanon, strumento indigeno che è un po’ tra un tamburo francese e una chitarra spagnola.…il ballo era cominciato…, si danzava al rumore del più detestabile charivari che mai aveva straziato le orecchie…”. (pag. 285, con altre citazioni a fondo pagina, in Les romantiques et la musique: le cas George Sand, di Thérèse Marix-Spire,1804-1838, Volume 1.)
A conclusione, voglio citare il saggio di Alvaro de la Torre: “Chiflo y salterio en Alto Aragón” ( in Revista de folklore, 1986, n°70) che descrive accuratamente il tamburo di corde nelle due varianti, differenziate, sulla zona del confine dei Pirenei: il modello francese, zona di Ossau (regione Bearn) e quello spagnolo, provincia di Huesca (Alta Aragona). De la Torre fa chiarezza sul nome salterio, come uno strumento in particolar modo apprezzato anche in ambito religioso (varie feste locali), evidenziandone la presenza su un tratto dei Pirenei corrispondente al Cammino di Compostela. Da qui ipotizza una sua via di diffusione legata al pellegrinaggio che, dalla Francia, lo avrebbe portato in Spagna.
Ipotesi, per me, da prendere in considerazione, in quanto già dal Medioevo questo salterio era utilizzato in chiesa, specie in Francia, e denominato chorus.
ORIGINE E CURIOSITA’
SULLA DIFFUSIONE DEL NOME BUTTAFUOCO
Questo nome, principalmente italiano (a partire dalla Sicilia), lo troviamo affidato a personaggi particolari, in genere militari; dal 1700 lo si ritrova anche in Corsica e perciò anche in Francia.
ORIGINE
La sua più antica presenza nella letteratura risale al Medioevo, perché lo si nomina addirittura nel Decameron di Boccaccio.
Ma, secondo l’ipotesi di Vito Blunda, questo cognome è di probabile origine linguistica francese, derivato dal termine “boutefoy”.
Andreuccio da Perugia, venuto a Napoli (paragrafo 59, novella n.5, giornata II, dal Decameron di Giovanni Boccaccio, 1351):
“…dissero fra sé: Veramente in casa lo scarabone Buttafuoco fia stato questo.” (ovvero: “di sicuro questo sarà successo a casa di quel parassita di Buttafuoco”).
Bisogna spiegare che scarabone (o scarafone) è una diffusa voce meridionale per scarafaggio, quindi sempre usato in senso negativo; invece, nei primi del XIV sec. è documentata la presenza a Napoli di un militare siciliano, rimasto fedele agli Angiò, che si chiamava Buttafuoco, un nome ancora oggi tipicamente siciliano (ci sono 95 famiglie ca. con questo cognome).
PRIMA ZONA DI DIFFUSIONE
Secondo Gerhard Rohlfs, Buttafuoco è un cognome della Sicilia orientale che viene dalla voce dialettale siciliana ‘buttafòcu’ o “bbuttafocu” (specie di salterio con tre corde). Buttafuoco potrebbe derivare anche da nome o soprannome medioevale di fantasia, attribuito al capostipite, Butafocus o Butafogus.
Oggi, questo cognome è diffuso in Sicilia, in quasi tutte le province, nel catanese (Misterbianco, Catania), nell’ennese (Leonforte, Nicosia, Pietraperzia, ecc.) nell’agrigentino (Menfi, Ribera), nel trapanese (Mazara del Vallo, Alcamo), ecc.. Buttafuoco ha modesti nuclei anche in altre regioni italiane: Piemonte (nel torinese), Lombardia (Milano, Como), in Emilia Romagna (Bologna), nel Lazio (Roma).
TRACCE STORICHE E PERSONAGGI
Tracce di questa cognomizzazione si trovano a Cremona con un Johannes Butafogo, vissuto nella seconda metà del 1300; nelle Marche, nella seconda metà del 1500 con un cardinale Costanzo Buttafoco da Sarnano (MC), che partecipò al conclave del 1591 riunito dopo la morte del papa Innocenzo IX; nell’agrigentino, con il pittore Nicolò Buttafoco (Magister Nicolaus Buttafoco julianensis, 1592), pittore, nato fra il terzo e il quarto decennio del secolo XVI; fu attivo a Burgio, a Cammarata e ad Agrigento, località dove si trovano importanti sue opere.
– Francesco Sforza al podestà di Saronno e a Galeotto Ratti – 1451 gennaio 23 (Lodi) Francesco Sforza vuole che il podestà di Saronno chiami davanti a sé Matteo e Giovanni da Varese che, secondo l’uomo d’arme Buctafuoco (da cui è scappato un ragazzo con denaro, velluto e altro), hanno fuorviato il ragazzo. Se li trova colpevoli li costringa a restituire la refurtiva, non rilasciandoli se non a consegna avvenuta del ragazzo. [ 136v] Potestati terre Seroni.
Buctafoco, nostro famiglio, presente exibitore, ne dice essergli fugito uno suo regazo quale gli ha portato via alcuni denari, velluto et altre cose, como da luy intenderay et dice, esso regalo, essergli stato desviato per Maffeo et Iohanni da Varise, habitatori de quella nostra terra de Serone. Pertanto volimo, subito havuta questa, habi denanzi a ti li decti Maffeo et Iohanni et te sforzi per ogni modo havere informatione si loro hanno desviato el dicto regazo et se hanno saputo cosa alcuna. Et trovando che essi siano colpevoli de questo facto volimo gli debbi constrengere ad restituire el regazo et cose soe ad esso Buctafoco, sì ch’el sia integramente satisfacto de ogni cosa. Et perché esso Buctafoco ne dice che quelli Maffeo et Iohanni hanno lo suo regazo, volimo gli debbi destenere et non lassarli fino non restituiscano el regazo et ogni cosa del suo ad esso Buctafoco. Laude, die xxiii ianuarii.
– Ms. 359, Archivio di Stato di Roma.Petrus Ieronimus/ser Petri Laurentii (1496-1523); alias Buttafoco o anche ser Petri Laurentii De Gregorii compare come Girolamo o Ieronimus (classificato come Priore e Bonus vir); ucciso da Sistus e Ludovicus Mazzancolli entro Febbraio 1523 (a Terni).
– Poetica d’Aristotele vulgarizzata, et sposta per Lodouico Casteluetro (1570) Pag. 308: …la terza è sbadigliare, & stropicciarsi gli occhi. Scarabone Buttafuoco sbadigliava e stroppicciavasi gli occhi. (a proposito del dire vero o falso, dalla novella di Boccaccio su Andreuccio da Perugia)
– Le Regne de Luis XVI (1791-1792) Cronaca.Pag. 239: M. Buttafoco, deputé de l’isle de Corse, etait ci-devant comte; son nom, en français, peut signifier boutte-feu. Pag 241: Les nobles, les grands Seigneurs de Corte, choisirent Buttafoco pour être leur representant, persuasades qu’étant attaché par tant de liens au despotismé & a l’ancien régime,il en défendrait vivement la cause; & ils ne se tromperent point. Pag. 246: Le négociateur Buttafoco, qui venait de trahir la confiance de ces commettans, dont il avait contribué i river les fers, ne rougit pas de solliciter, & de recevoir la récompense de cette trahison, & d’en être lui-même un des exécuteurs. Il fut élevé, sur-le-champ, au grade de colonel-commandant de son régiment…La cour de France, à qui la conquête de cette isle avait coûté des sommes considérables,n’oublia pas néanmoins de payer les étranges services de Buttafoco.
– “Italia Nati e Battesimi, 1806-1900“: Lucrezia Buctafuoco (Napoli).
– Albero genealogico della famiglia Buttafoco, in Corsica.
de BUTTAFOCO Vescovato, 1707 – 1790
BUTTAFOCO Pietralba,1732 – 1895
BUTTAFOCO Vescovato, 1705 – 1814
BUTTAFOCO- BARTOLI Calvi (Haute Corse) 1856 – 1895
BUTTAFOCO Bastia, 1766 – 1802
BUTTAFOCO Sartene, du Sud 1775 – 1850
de BUTTAFOCO Vescovato, 1847 – 1879
BUTTAFOCO Vescovato (Viscuvatu), 1521 – 1779
BUTTAFOCO Alata, 1810 – 1825
BUTTAFOCO Pietralba, Hte Corse,1897 – 1911
I Buttafuoco più recenti e importanti in Italia.
– Annarita Buttafuoco (Cagliari 15/3/1951 – Arezzo 26/5/1999) – storica e saggista italiana, molto attiva come femminista.
– Antonino Buttafuoco (Nissoria 20/4/1923 – Leonforte 2/4/2005) – politico, deputato all’Assemblea Regionale Siciliana per il Movimento Sociale Italiano dal 1951 al 1971. Sindaco di Nissoria dal 1968 al 198; deputato alla Camera dal 1972 al 1976; deputato europeo dal 1979 al 1989; zio di Pietrangelo.
– Pietrangelo Buttafuoco (Catania 2/9/1963) – studi in filosofia, giornalista di destra, ha collaborato con il Secolo d’Italia, Il Giornale, Il Foglio di Giuliano Ferrara, Panorama, Repubblica; recentemente ha ripreso a collaborare con il Foglio. Scrittore di successo (Le uova del drago, L’ultima del diavolo, Fimmini, Il lupo e la luna, Fuochi, ecc.).
LA RISCOSTRUZIONE DI OGGI
Il Buttafuoco di Vincenzo Cipriani e il Tambourin à cordes di Serge Claderes
Il Buttafuoco di Vincenzo Cipriani
Con la preziosa collaborazione del liutaio Vincenzo Cipriani si è scelto di ricostruire il modello più complesso di buttafuoco: quello che suona, oltre che a bordone, anche sui bassi degli accordi.
Probabilmente questo modello rappresenta lo strumento nella sua fase finale, più completa e più complicata, ultimo sviluppo del modello rinascimentale che lo porta verso verso il Barocco, prima del suo completo abbandono (eccetto nella tradizione orale).
Mentre lo strumento popolare ha normalmente 5 corde di budello (che sfiorano delle tangenti e producono un suono ricco di armonici), qui si è ricostruito quello raffigurato nella collezione di Manfredo Settala di Modena (lui stesso suonatore ed elaboratore della sordellina) risalente all’anno 1650: le corde sono 20 ma suddivise in 5 cori che, vista la presenza di vari ponticelli, hanno ricevuto una accordatura pentatonica, incrociata nelle altezze.
In questo disegno si possono notare, la suddivisione dei ponticelli, e in alto a sinistra, la denominazione di Butafuoco, insieme al nome dell’autore e la data.
Inoltre, si è preferito l’applicazione di corde di metallo in quanto i bischeri raffigurati (e l’assenza delle tangenti per le corde di budello), sono uguali a quelli utilizzati sui salteri a percussione del periodo che montavano, appunto, corde in metallo.
Come si vede, ha la tipica forma dello strumento verticale, con le fasce sagomate a onda, ma è raffigurato in orizzontale, posato su un piano.
Che sia un buttafuoco da tavolo?
Anche la bacchetta è particolare: infatti, dovendo colpire solo uno o 2 cori per volta, si è scelta la mazza che si utilizza in Provenza sul tamburo suonato insieme al flautino galuobet, la cui particolare testa arrotondata permette questa precisione tecnica.
Questo tipo di buttafuoco lo si può ascoltare nelle seguenti registrazioni discografiche:
LIRUM LI TRONC – Sordellina, Colascione, Buttafuoco in Renaissance Naples (Stradivarius, 2009)
su Spotify: https://open.spotify.com/album/62IkwELmgPzOtZPqONiwJV?si=vvkZZ-fQQUeSzgQyzZNEWA
- traccia 2: O Lucia miau miau [moresca – O. di Lasso, 1560]
- traccia 4: ‘No gallo con ‘no grillo [villanella – Anon., 1557]
- traccia 15: Spagnoletto [ballo – G.L.BALDANO, 1600]
MICROLOGUS – Carnivalesque – ” Sex, lies and…musical tales” (Micrologus Ed. Disc. 2013)
traccia 2: Un Cavalier di Spagna
traccia 5: Ballo delle fantinelle da marito
traccia 12: Una vecchia rincagnata
traccia 21: Moresca di Feragu
traccia 26: Il bal del matterel /Tol in man
MICROLOGUS – Devote passioni – Laude e soni nelle feste religiose aquilane (secc. XV-XVI). Le vie del Sacro (2 CD – Micrologus Ed. Disc. 2014)
traccia 4: O gloriosa vergene Maria
traccia 7: Nella digna stalla del dolce mammolino
traccia 11: Diana
traccia 14: Chiarenzana de l’Aquila e Saltarello de l’Aquila
RAFFAELLO SIMEONI – Orfeo Incantastorie (Finisterre, 2018)
su Spotify:https://open.spotify.com/album/0V5hqqTY4x1ueRbHgf0Y7U?si=8iWmgzbwToeTAd3eTvMpuw
traccia 10: Cantus antigus (CD 2)
Le ulteriori modifiche apportate al buttafuoco, dovute ad esigenze strettamente musicali (cambio di tonalità, altri giri armonici dei bassi e, infine, utilizzare o no le le tangenti), opportunamente verificate dopo numerosi concerti, sono:
- inserimento di tutti i 5 ponticelli mobili,
- inserimento di 5 capotasti;
- la bacchetta con doppia faccia (una ricoperta di feltro e una ricoperta di cuoio) per cambiare il suono dell’attacco percussivo,
- le tangenti di metallo mobili (che si possono omettere).
Come potete notare, per i cambi rapidi rapidi di accordatura, ho segnato la tavola armonica con segni e nome delle note.
Questo tipo di buttafuoco lo si può ascoltare in questa registrazione discografica:
SARA MARINI – Torrendeadomo – Ritorno a casa (RadiciMusic Records, 2019)
su Spotify:https://open.spotify.com/playlist/5xkKyBbWQj3dhEwlQps6ky?si=WBqqnMEFT7SMPFFM_Dtxfw
traccia 2: Terra Rossa
traccia 5: E Me Ne Voglio Andare
traccia 10: Bentu Lentu
traccia 12: Pregadoria
il Tambourin à cordes di Serge Claderes
Con il costruttore francese Serge Claderes ho discusso la ricostruzione del Tambourin à cordes.
Il modello in elaborazione è quello del XVIII sec. descritto da Mr. Lavalliere nella prefazione alle sue SIX SONATES en DUO.
Questo Tambourin à cordes viene modificato:
- fino ad avere 13/16 corde ca. e 6/8 toni (oltre ad avere dei cavalletti mobili) per poter realizzare i 6 accordi necessari delle 6 Sonates;
- utilizza corde di budello (accordate anche in ottava), da lui stesso costruite;
- munito di arpioni, in modo da dargli il tipico suono ricco di armonici.
- Claderes usa, per favorire il colpo su più corde, e per produrre un bicordo, una cordiera leggermente curva, ricostruita a partire da strumenti tradizionali ritrovati.
Maggiori informazioni sul suo sito:
https://www.sergecladeres.fr/tambourins-à-cordes/
APPENDICE 1
In appendice aggiungo altre ricostruzioni di modelli differenti di tamburo di corde.
L’ altobasso di Vincenzo Cipriani
Pubblico qui la foto dello strumento ricostruito da Vincenzo Cipriani, da lui gentilmente fornitami.
Cipriani si è basato sull’affresco di Filippino Lippi (1488-1492) posto nella cappella del Cardinal Oliviero Carafa presso la Basilica di S. Maria sopra Minerva a Roma.
In questo affresco, in basso a sinistra, si vede un angelo che suona il flauto accompagnandosi con un salterio/cetra a tre corde.
Questo semplice strumento potrebbe essere il famigerato altobasso presente alla corte di Napoli del re mecenate Alfonso V d’ Aragona nella prima metà del XV secolo?
Sulla possibilità che sia questo lo strumento chiamato con il nome di altobasso, posso fare solo un’ipotesi a partire dall’etimologia di questo nome, che unisce due termini per definire la dinamica della musica: alto, per indicare un suono forte, e basso, per indicare un suono di volume piano (tutt’oggi noi diciamo alza o abbassa il volume). Quindi questa potrebbe essere un primo nome del buttafuoco in Italia, dove alto viene chiamato il flautino (perché suona decisamente forte) e basso il tamburo di corde (molto meno sonoro).
FINE